E’ il nostro Christmas Carol.
Lo abbiamo scoperto in rete e ve lo regaliamo. Magari qualcuno di voi già lo conosce ma ad ogni modo piccoli gioielli come questo meritano la più ampia condivisione.
E poi perchè no: ci piace immaginarvi seduti comodi sul divano dopo uno di questi pranzi natalizi assorti nella visione di questo splendido documentario prodotto dal Centro Studi Valle Imagna che racconta con delicatezza e poesia la dura storia di alcuni emigranti bergaschi oltralpe.
Buona visione ed aguri di cuore a tutti i visitatori di vallimagna.com.
Questo film è il risultato unico, speciale, di un incontro tra persone che hanno un’intera vita da raccontare e l’autore. Boscaiolo da sempre, Lorenzo ha trascorso tutta la sua vita all’estero, prima in Francia poi in Svizzera. Il corpo piegato in due da anni di fatiche, Lorenzo porta con leggerezza i suoi settantatré anni sulla cima di abeti da quaranta metri. E il suo lavoro, nella sterminata distesa di faggi e abeti del Risoux, è scientifico e appassionato. Vive solo, da quando la moglie è ricoverata in clinica a Losanna e un figlio è rimasto vittima di un infortunio nel bosco. Eppure non ha perduto il sorriso; ama la natura, e vive con ironia e generosità il suo rapporto con altri emigranti. Con loro, nel bosco, Lorenzo allestisce la carbonaia per trasformare i rami di faggio in carbone attraverso l’antichissimo rituale compiuto per giorni e per notti. La camera li guarda e li ascolta con rispetto, e ci restituisce un imprevisto mondo che ci appare remoto ma scuote nel profondo le nostre forse illusorie certezze.
Critica:
Il bosco dove il lavoro quotidiano diventa poesia. Una vita altrove è’ un film coinvolgente perché immerge in una realtà, personaggi e ambienti, totalmente vera, dove la poesia ha la durezza della vita vissuta e fa tutt’uno con la natura, madre silente e misteriosa di tutti. Lorenzo, avvicinandosi con straordinaria naturalezza alla macchina da presa, taglia, sega, sfoltisce (arrampicandosi sui fusti, nonostante l’età). Vive solo, eroicamente incurvato, con lo scodinzolante cane Fen al fianco, da quando la moglie è stata ricoverata senza possibilità di uscita, in una clinica di Losanna. Cima riprende tutto ciò con amore senza enfasi, rinunciando a ogni orpello che non sia l’immagine nuda e cruda. Non v’è commento musicale, né voce narrante, solo i rumori del lavoro e le voci dei boscaioli. Il linguaggio di Alberto Cima è scabro quanto intenso, uso a scavare negli animi per restituirne l’essenza sullo schermo. E’ la via di Olmi, o del Piavoli di Voci nel tempo.
Franco Colombo
Il cinema di Alberto Cima concede sempre meno alla finzione, agli artifici. Fatto di immagini forti. Scarno, rigoroso, essenziale. Un cinema che si pone con rispetto in ascolto dell’uomo in tutta la sua più autentica realtà. Libero, lontano dall’industria del cinema, dai suoi condizionamenti, dalle logiche di mercato. Un cinema d’autore.
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